http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/partito-democratico-28/maltese-parole/maltese-parole.html
Laicità e merito i valori-guida. E stop al mito del dialogo: dalle interviste dell’inchiesta di "Repubblica" sui giovani del Pd, le 50 "parole chiave"Ricorrono i termini "Bisogna", "fare" e "politica", oltre che "destra" e Stato"
di CURZIO MALTESE
Le crisi storiche dei grandi partiti occidentali si sono quasi sempre
concluse con l’avvento di una nuova generazione di trentenni e
quarantenni. E’ successo al Labour inglese e ai socialisti spagnoli,
come ai loro avversari, poi ai democratici americani, oggi accade ai
socialdemocratici tedeschi e svedesi. Tutti partiti che si chiamano
così da oltre un secolo. Il centrosinistra italiano, dopo ogni
sconfitta, ha cambiato marchio e simboli, conservando linguaggio e
nomenklatura. Veltroni e D’Alema litigano da vent’anni e da quattro
partiti (Pci, Pds, Ds e Pd), ha scritto Ezio Mauro. Questa finzione gattopardesca è ormai intollerabile all’elettorato che
reclama il ricambio del gruppo dirigente nei sondaggi e nelle primarie.
A volte senza neppure conoscere i nuovi, soltanto per esclusione. Siamo
andati alla ricerca dei giovani democratici e abbiamo scoperto, per
cominciare, che esistono. Non è vero che dietro l’oligarchia c’è il
nulla. Al Nord, Centro e Sud s’incontrano donne e uomini di venti,
trenta o quarant’anni, animati di passione politica, con le loro
storie, professioni, idee. Da domani potrebbero prendere il posto dei
vecchi senza farli rimpiangere troppo. E forse per nulla. Migliori o peggiori dei Veltroni e D’Alema, Rutelli e Parisi, Bersani e
Letta, Bindi e Marini? Giudicheranno i cittadini. Di certo, diversi.
Più curiosi del futuro che del passato. Più simili ai cittadini che
dovrebbero votarli. Non è soltanto questione di età, piuttosto di
cultura e linguaggio. Mentre i vecchi leader litigavano sulle
rispettive appartenenze, è cresciuta una generazione per la quale le
categorie novecentesche hanno perso senso. A cominciare dalla questione
dominante del secolo scorso, il comunismo. Che per l’Italia continua a
essere un’ossessione. Ex e post comunisti, dialoganti con ex
democristiani, in lotta con anticomunisti, a loro volte spesso ex
comunisti, come se il muro non fosse mai caduto, in un delirio
passatista di revisionismo rancoroso.
Questi altri, i giovani, non sono ex di nulla. Hanno votato Ulivo già a
diciott’anni, sono cresciuti in una casa riformista comune, dove non è
difficile trovarsi d’accordo sui valori fondanti. Cattolici e non
cattolici, difensori della laicità dello stato. Moderati e radicali,
convinti che il conflitto d’interessi (di Berlusconi, di Pincopallo o
del governatore di una regione "rossa") sia un cancro della vita
pubblica nazionale. Milanesi o siciliani, fieri europeisti, con
esperienze di studio e lavoro all’estero, contatti quotidiani con
coetanei che fanno politica a Berlino o Parigi, Londra o Madrid. In una
specie di permanente Erasmus via Internet, dove ci si scambiano idee e
informazioni sui temi del qui e dell’oggi, l’ambiente, l’energia, la
crisi, i nuovi lavori, l’immigrazione. Assai più di quanto facciano con
i colleghi europei i nostri parlamentari in villeggiatura politica a
Strasburgo e Bruxelles, indipendentemente dal gruppo europeo al quale
sono iscritti. Hanno tutti vite che si possono raccontare oltre la sezione di un
partito, non sono figli di dirigenti e funzionari, considerano la
politica un impegno a termine, almeno per ora. E dalle esperienze di
vita quotidiana hanno maturato quello che forse è mancato in tutti
questi anni alle leadership di centrosinistra. Una visione della
società italiana nei fatti alternativa a quella della destra di
Berlusconi. Un’Italia più aperta e tollerante, ben disposta al merito e
alla creatività, assai più integrata nel resto d’Europa, meno anomala e
autarchica, familista e obbediente ai vescovi. Ma anche una sinistra
meno autarchica e difensiva. E’ una visione dove il coraggio si mescola
con l’ingenuità. Ma forse è di coraggio e ingenuità che la sinistra ha
bisogno. Nel suo primo anno di vita il Pd non si è concentrato sulla più grave
crisi economica dagli anni Trenta ma sull’annosa questione del dialogo
con Berlusconi. Dialogo sì, dialogo no, a prescindere, come stile
politico. Senza neppure capire che, visto il risultato elettorale,
Berlusconi non ha più bisogno di dialogo. Il temuto o sperato (da
Veltroni) pareggio elettorale non c’è stato. Al massimo il premier ha
oggi bisogno di un’opposizione che lo aiuti a far ingoiare all’opinione
pubblica irriducibilmente democratica un certo numero di leggi razziali
impensabili nel resto del continente, il regolamento di conti finale
con la magistratura e qualche raffica di nomine di basso livello alla
Rai o negli enti pubblici. Tutte operazioni alle quali procederà in
ogni caso, anche senza la benedizione degli avversari. A questo brutale
stravolgimento delle garanzie costituzionali, il centrosinistra ha
offerto in questi anni soltanto una resistenza trattabile e poco
convinta. Fino alla resa ideologica di contrapporre la ronda di
sinistra a quella di destra, la caccia al lavavetri democratica contro
quella leghista, il buon portatore di conflitto d’interessi (Soru)
contro il cattivo. In cambio della concessione da parte del sovrano di
qualche riserva indiana, di un piccolo statuto albertino in materia di
sindacato o televisioni, e ancor di più in cambio della sopravvivenza
del centrosinistra come ceto politico. Il tempo di questi giochi da
seconda repubblica è ora scaduto. I cittadini chiedono che la politica
non si occupi della propria sopravvivenza ma della loro, minacciata
dalla crisi.
concluse con l’avvento di una nuova generazione di trentenni e
quarantenni. E’ successo al Labour inglese e ai socialisti spagnoli,
come ai loro avversari, poi ai democratici americani, oggi accade ai
socialdemocratici tedeschi e svedesi. Tutti partiti che si chiamano
così da oltre un secolo. Il centrosinistra italiano, dopo ogni
sconfitta, ha cambiato marchio e simboli, conservando linguaggio e
nomenklatura. Veltroni e D’Alema litigano da vent’anni e da quattro
partiti (Pci, Pds, Ds e Pd), ha scritto Ezio Mauro. Questa finzione gattopardesca è ormai intollerabile all’elettorato che
reclama il ricambio del gruppo dirigente nei sondaggi e nelle primarie.
A volte senza neppure conoscere i nuovi, soltanto per esclusione. Siamo
andati alla ricerca dei giovani democratici e abbiamo scoperto, per
cominciare, che esistono. Non è vero che dietro l’oligarchia c’è il
nulla. Al Nord, Centro e Sud s’incontrano donne e uomini di venti,
trenta o quarant’anni, animati di passione politica, con le loro
storie, professioni, idee. Da domani potrebbero prendere il posto dei
vecchi senza farli rimpiangere troppo. E forse per nulla. Migliori o peggiori dei Veltroni e D’Alema, Rutelli e Parisi, Bersani e
Letta, Bindi e Marini? Giudicheranno i cittadini. Di certo, diversi.
Più curiosi del futuro che del passato. Più simili ai cittadini che
dovrebbero votarli. Non è soltanto questione di età, piuttosto di
cultura e linguaggio. Mentre i vecchi leader litigavano sulle
rispettive appartenenze, è cresciuta una generazione per la quale le
categorie novecentesche hanno perso senso. A cominciare dalla questione
dominante del secolo scorso, il comunismo. Che per l’Italia continua a
essere un’ossessione. Ex e post comunisti, dialoganti con ex
democristiani, in lotta con anticomunisti, a loro volte spesso ex
comunisti, come se il muro non fosse mai caduto, in un delirio
passatista di revisionismo rancoroso.
Questi altri, i giovani, non sono ex di nulla. Hanno votato Ulivo già a
diciott’anni, sono cresciuti in una casa riformista comune, dove non è
difficile trovarsi d’accordo sui valori fondanti. Cattolici e non
cattolici, difensori della laicità dello stato. Moderati e radicali,
convinti che il conflitto d’interessi (di Berlusconi, di Pincopallo o
del governatore di una regione "rossa") sia un cancro della vita
pubblica nazionale. Milanesi o siciliani, fieri europeisti, con
esperienze di studio e lavoro all’estero, contatti quotidiani con
coetanei che fanno politica a Berlino o Parigi, Londra o Madrid. In una
specie di permanente Erasmus via Internet, dove ci si scambiano idee e
informazioni sui temi del qui e dell’oggi, l’ambiente, l’energia, la
crisi, i nuovi lavori, l’immigrazione. Assai più di quanto facciano con
i colleghi europei i nostri parlamentari in villeggiatura politica a
Strasburgo e Bruxelles, indipendentemente dal gruppo europeo al quale
sono iscritti. Hanno tutti vite che si possono raccontare oltre la sezione di un
partito, non sono figli di dirigenti e funzionari, considerano la
politica un impegno a termine, almeno per ora. E dalle esperienze di
vita quotidiana hanno maturato quello che forse è mancato in tutti
questi anni alle leadership di centrosinistra. Una visione della
società italiana nei fatti alternativa a quella della destra di
Berlusconi. Un’Italia più aperta e tollerante, ben disposta al merito e
alla creatività, assai più integrata nel resto d’Europa, meno anomala e
autarchica, familista e obbediente ai vescovi. Ma anche una sinistra
meno autarchica e difensiva. E’ una visione dove il coraggio si mescola
con l’ingenuità. Ma forse è di coraggio e ingenuità che la sinistra ha
bisogno. Nel suo primo anno di vita il Pd non si è concentrato sulla più grave
crisi economica dagli anni Trenta ma sull’annosa questione del dialogo
con Berlusconi. Dialogo sì, dialogo no, a prescindere, come stile
politico. Senza neppure capire che, visto il risultato elettorale,
Berlusconi non ha più bisogno di dialogo. Il temuto o sperato (da
Veltroni) pareggio elettorale non c’è stato. Al massimo il premier ha
oggi bisogno di un’opposizione che lo aiuti a far ingoiare all’opinione
pubblica irriducibilmente democratica un certo numero di leggi razziali
impensabili nel resto del continente, il regolamento di conti finale
con la magistratura e qualche raffica di nomine di basso livello alla
Rai o negli enti pubblici. Tutte operazioni alle quali procederà in
ogni caso, anche senza la benedizione degli avversari. A questo brutale
stravolgimento delle garanzie costituzionali, il centrosinistra ha
offerto in questi anni soltanto una resistenza trattabile e poco
convinta. Fino alla resa ideologica di contrapporre la ronda di
sinistra a quella di destra, la caccia al lavavetri democratica contro
quella leghista, il buon portatore di conflitto d’interessi (Soru)
contro il cattivo. In cambio della concessione da parte del sovrano di
qualche riserva indiana, di un piccolo statuto albertino in materia di
sindacato o televisioni, e ancor di più in cambio della sopravvivenza
del centrosinistra come ceto politico. Il tempo di questi giochi da
seconda repubblica è ora scaduto. I cittadini chiedono che la politica
non si occupi della propria sopravvivenza ma della loro, minacciata
dalla crisi.