Manco l’olio nella miscela

Che olio siamo?

di seguito le percentuali più adatte, in base al tipo di olio utilizzato, per una buona miscelazione con la benzina.

  • Olio minerale = 5%
  • Semisintetico/minerale addittivato = 3/4%
  • Ricinato = 5%
  • Sintetico premiscelato (Motul 600/710) = 3%
  • Sintetico assoluto (Motul 800) = 2%

 

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in risposta a Giocondo Talamonti: binomio arte/murales e binomio sicurezza/protezione

graffiti removal service

"s’i fosse papa, allor serei Giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei"
(Cecco Angiolieri)

Giocondo Talamonti (al quale rispondo pubblicamente pur senza
conoscerlo, spero non me ne voglia) se la prende con dei sedicenti
artisti che imbrattano e deturpano, chiedendo misure repressive,
telecamere, vigili urbani, suggerendo di scoraggiare il binomio
arte/murales anche con la collaborazione delle associazioni del tempo
libero:

http://www.comune.tr.it/comunicato_stampa.php?id=34478&pagina=1

“Iniziative repressive contro l’imbrattamento dei muri"

25.08.2009 – ore 09:40 – Le propone il consigliere Talamonti per combattere il degrado di alcune zone della città

Eppure era lo stesso Giocondo che, una settimana fa, diceva che
"occorre coinvolgere le scuole per favorire l’educazione e la
formazione delle giovani generazioni" e che nel caso di un’altra
sicurezza (quella stradale) prima e più delle sanzioni (delle quali si
arrivava a sindacare persino la legittimità, suggerendo controlli sui
t-red) proponeva di valorizzare prevenzione e consapevolezza dei
cittadini.

http://www.comune.terni.it/canale.php?mod=comunicato_stampa&op=index&id=34468&idc=3

Talamonti: “Prima degli autovelox usiamo la prevenzione”

17.08.2009 – ore 13:27 – Il consigliere comunale con un’interrogazione chiede chiarezza anche sui foto-red

Io non ho mai scritto su un muro. Non lo dico per decolpevolizzarmi, ma
per dire che non sono un patito della cosa. Eppure di scritte
memorabili in città ne ricordo tante. "Benvenuti in California", "Né
eroina né polizia", "Costruire mondi", "Se tu fai la legge… io faccio
l’illegalità". Oppure mitici murales, come l’Hulk sulla salita dalla
Coop verso l’ospedale, l’Uomo Ragno…

Non piace. Ad alcuni. Ma è cultura. A qualcun altro non piacerà
Esterni, il Jazz, Maree, CavourArt, la Stagione di Prosa, gli Eventi
Valentiniani…

Si capisce che il punto non è questo. Non sto a questionare se un
consigliere sia più o meno titolato di me o di altri a dire cosa sia
arte (o cultura) e cosa non lo sia. Del resto, una scritta imbratta. Ed
è vero, vedere i muri "taggati" anche a me non fa piacere, non lo
paragonerei a pipì di cane perché mi sembrerebbe offensivo, ma insomma.
Ma Talamonti non mirava all’arte.

Il punto è che ci si scaglia con facilità contro alcuni. Con etichette
così facili da usare per un politico che quasi mi stupisco che lo si
faccia così poco. Però secondo me, in quanto cittadino, nel momento in
cui un gruppo di ragazzetti diventa strumento per una studiata azione
politica, facendo da bersaglio di un consigliere comunale, sorgono tre
questioni.

1- La coerenza, croce dell’umanità.

La stessa amministrazione comunale di Terni ha dato ai writers uno
spazio (sufficiente?) per fare i loro pezzi. E così ti vedi Herone,
Nemo Reps ed altri (più o meno noti, e più o meno bravi) in viale
fonderie. Finalmente, invece delle tag fatte di corsa, con l’ansia
della repressione formato vigile urbano (compulsivamente fatte in ogni
angolo disponibile), i ragazzi hanno tempo di pensare, progettare,
realizzare i loro murales. Il passaggio è sottile ma fondamentale. Vuol
dire che, mentre fanno quei murales, i ragazzi non usano
(imbrattano/rompono), ma SONO la città. A modo loro, senza imbeccate o
paternali. Liberi ed uguali in dignità e diritti. E lì il binomio
arte/murales innegabilmente si manifesta.

2- Sicurezza vs protezione sociale

Perché si fanno diventare i ragazzetti lo spauracchio della città? I
ragazzetti sono bulli, sono deturpatori, sono sedicenti artisti, la
polizia li prende, li identifica, sono un gruppo multietnico (sembrava
una barzelletta, siccome c’era anche un italiano allora giù con
l’elenco delle nazionalità, c’era un inglese un francese un tedesco e
un italiano- ma solo uno, potete ancora stare tranquilli…). C’è
perfino chi suggerisce di mettere più vigili e di installare
telecamere, così li fermiamo, ‘sti debosciati. Che manco votano…
sottigliezza non da poco.

Chiedo, chiedo, fortissimamente chiedo a Giocondo Talamonti (e a chi ci
amministra, fresco di elezione) quale sia la sua scelta tra sicurezza e
protezione.

Perché io la sicurezza non la voglio. Nella sicurezza, siamo tutti
soli. I bulli, da soli. I poliziotti, da soli. I consiglieri comunali,
da soli. La sicurezza risponde alla paura, e di essa ha bisogno; se non
ce n’è a sufficienza, basta crearne un po’. Si può usare anche solo il
disturbo: nella solitudine, si può scambiare il disturbo con la paura,
perché non c’è più spazio per l’accoglienza e la comprensione.

Ma io so ancora riconoscere la differenza. La campana della chiesa che
suona alle 6 e mezza di mattina di fronte alla mia finestra mi
disturba. La diossina dell’incendio di Vascigliano mi spaventa.
Il caldo eccessivo di questi giorni mi disturba. Il cromo esavalente nelle acque di falda mi spaventa.
La differenza è che la finestra di casa mia me la chiudo da solo. E’
per le cose più difficili, quelle che mi spaventano, che ho bisogno di
protezione. La sicurezza ci difende gli uni dagli altri. La protezione
si prende cura di tutti. Da che parte stiamo? Cosa vogliamo fare della
nostra città? E’ possibile stare un po’ da una parte e un po dall’altra?

3- L’etica
Sull’etica, anche se non posso non passarci, non mi dilungo. Potrei
facilmente inciampare in un terreno così alto. Mi faccio venire in
soccorso dal dialetto. A Terni, i bambini ed i ragazzi vengono chiamati
genericamente "fiji": figli. E al visitatore di un’altra città che ci
chiedesse "beh sì, ma figli di chi?" non potremmo fare altro che
rispondere, con la naturalezza che si addice a una realtà di provincia:
"di tutti"!

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Piero Boni

Partigiano, liberò Parma

Chiunque l’abbia incontrato non dimentichera’ facilmente  Piero
Boni, una delle figure di spicco del mondo del lavoro e del sindacato
per moltidecenni. Ma soprattutto, come amava ricordare, era un partigiano. Col nome di
battaglia ”Piero Coletti” liberò Parma. Boni, nato a Reggio Emilia 89
anni fa, e’ stato un eroe della Resistenza, capo partigiano e Medaglia
d’argento al Valor militare: partecipo’ alla liberazione di Parma (rpt
Parma) dopo aver passato dieci mesi nelle Brigate Matteotti. E a Parma,
il 25 aprile del 2003, è tornato per parlare della sua Resistenza come
ospite d’onore. Membro dell’Ufficio sindacale del PSI, nel primo dopoguerra entra a
far parte dell’Ufficio Segreteria della Cgil. Nel 1957 diventa
segretario nazionale della Fiom. Nominato membro del  Cnel come
rappresentante Cgil nel 1958, verra’ confermato in quel ruolo fino al
1995. Nella primavera del 1960 viene eletto Segretario generale
aggiunto della Fiom, a fianco di Luciano Lama, e membro dell’esecutivo
della CGIL; carica che gli verra’ confermata nel 1962 e nel 1964, a
fianco di Bruno Trentin.Nel 1973 viene eletto segretario generale
aggiunto del sindacato, anizzazione, carica che manterra’ fino al 1977,
anno in cui si dimettera’ dalla segreteria. Nello stesso anno assume la
Presidenza della Fondazione Giacomo Brodolini, un incarico mantenuto
per moltissimi anni. Piero Boni e’ stato anche Presidente della
Commissione Lavoro del Cnel tra il 1977 e il 1988 e, per alcuni anni,
membro del Comitato Economico della Ue.

http://senesonoandati-parma.blogautore.repubblica.it/2009/06/29/piero-boni/

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IL CORAGGIO DIMENTICATO

http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/cronaca/immigrati-7/saviano-coraggio/saviano-coraggio.html

di ROBERTO SAVIANO

Pubblichiamo la versione integrale dell’articolo di Roberto Saviano uscito oggi da Repubblica.

Chi racconta che l’arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di
criminali, chi racconta che incrementa violenza e degrado, sta
dimenticando forse due episodi recentissimi ed estremamente
significativi, che sono entrati nella storia della nostra Repubblica.
Le due più importanti rivolte spontanee contro le mafie, in Italia, non
sono partite da italiani ma da africani. In dieci anni è successo
soltanto due volte che vi fossero, sull’onda dello sdegno e della fine
della sopportazione, manifestazioni di piazza non organizzate da
associazioni, sindacati, senza pullman e partiti.

Manifestazioni spontanee. E sono stati africani a farle. Chi ha urlato:
"Ora basta" ai capizona, ai clan, alle famiglie sono stati africani. A
Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage a opera della
camorra in cui vengono uccisi sei immigrati africani: Kwame Yulius
Francis, Samuel Kwaku e Alaj Ababa, del Togo, Cristopher Adams e Alex
Geemes della Liberia e Eric Yeboah del Ghana. Joseph Ayimbora, ghanese,
viene ricoverato in condizioni gravi. Le vittime sono tutte
giovanissime, il più anziano tra loro ha poco più di trent’anni, sale
la rabbia e scoppia una rivolta davanti al luogo del massacro. La
rivolta fa arrivare telecamere da ogni parte del mondo e le immagini
che vengono trasmesse sono quelle di un intero popolo che ferma tutto
per chiedere attenzione e giustizia. Nei sei mesi precedenti, la
camorra aveva ucciso un numero impressionante di innocenti italiani. Il
16 maggio Domenico Noviello, un uomo che dieci anni fa aveva denunciato
un’estorsione ma appena persa la scorta l’hanno massacrato. Ma nulla.
Nessuna protesta. Nessuna rimostranza. Nessun italiano scende in
strada. I pochi indignati, e tutti confinati sul piano locale, si
sentono sempre più soli e senza forze.

Ma questa solitudine finalmente si rompe quando, la mattina del 19,
centinaia e centinaia di donne e uomini africani occupano le strade e
gridano in faccia agli italiani la loro indignazione. Succedono
incidenti. Ma la cosa straordinaria è che il giorno dopo, gli africani,
si faranno carico loro stessi di riparare ai danni provocati.
L’obiettivo era attirare attenzione e dire: "Non osate mai più". Contro
poche persone si può ogni tipo di violenza, ma contro un intera
popolazione schierata, no. E poi a Rosarno. In provincia di Reggio
Calabria, uno dei tanti paesini del sud Italia a economia
prevalentemente agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo
cronico e le cui cosche, in questo caso le ‘ndrine, fatturano cifre
paragonabili al PIL del paese.

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La
cosca Pesce-Bellocco di Rosarno, come dimostra l’inchiesta del GOA
della Guardia di Finanza del marzo 2004, aveva deciso di riciclare il
danaro della coca nell’edilizia in Belgio, a Bruxelles, dove per la
presenza delle attività del Parlamento Europeo le case stavano
vertiginosamente aumentando di prezzo. La cosca riusciva a immettere
circa trenta milioni di euro a settimana in acquisto di abitazioni in
Belgio.

L’egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due
lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due in gravissime
condizioni. La sera stessa, centinaia di stranieri – anche loro, come i
ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi – si radunano per
protestare. I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco
è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 di dicembre, ovvero a due
soli giorni dall’aggressione, il colpevole viene arrestato e il movente
risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità
degli africani. La popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza
della ‘ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai
accaduto negli anni precedenti.

Eppure, proprio in quel paese, una parte della società, storicamente,
aveva sempre avuto il coraggio di resistere. Ne fu esempio Peppe
Valarioti, che in piazza disse: "Non ci piegheremo", riferendosi al
caso in cui avesse vinto le elezioni comunali. E quando accadde fu
ucciso. Dopo di allora il silenzio è calato nelle strade calabresi.
Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno.

E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti
gli italiani. Difendono il diritto di lavorare e di vivere
dignitosamente e difendono il diritto della terra. L’agricoltura era
una risorsa fondamentale che i meccanismi mafiosi hanno lentamente
disgregato facendola diventare ambito di speculazioni criminali. Gli
africani che si sono rivoltati erano tutti venuti in Italia su barconi.
E si sono ribellati tutti, clandestini e regolari. Perche da tutti le
organizzazioni succhiano risorse, sangue, danaro.

Sulla rivolta di Rosarno, in questi giorni, è uscito un libretto assai
necessario da leggere con un titolo in cui credo molto. "Gli africani
salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l’Italia" di Antonello
Mangano, edito da Terrelibere. La popolazione africana ha immesso nel
tessuto quotidiano del sud Italia degli anticorpi fondamentali per
fronteggiare la mafia, anticorpi che agli italiani sembrano mancare.
Anticorpi che nascono dall’elementare desiderio di vivere.

L’omertà non gli appartiene e neanche la percezione che tutto è sempre
stato così e sempre lo sarà. La necessità di aprirsi nuovi spazi di
vita non li costringe solo alla sopravvivenza ma anche alla difesa del
diritto. E questo è l’inizio per ogni vera battaglia contro le cosche.
Per il pubblico internazionale risulta davvero difficile spiegarsi
questo generale senso di criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi
da un paese, l’Italia, che ha esportato mafia in ogni angolo della
terra, le cui organizzazioni criminali hanno insegnato al mondo come
strutturare organizzazioni militari e politiche mafiose. Che hanno
fatto sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i loro
investimenti, che hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose
italiane newyorkesi, una sorta di educazione mafiosa all’estero.

Oggi, come le indagini dell’FBI e della DEA dimostrano, chiunque voglia
fare attività economico-criminali a New York che siano kosovari o
giamaicani, georgiani o indiani devono necessariamente mediare con le
famiglie italiane, che hanno perso prestigio ma non rispetto. Altro
esempio eclatante è Vito Roberto Palazzolo che ha colonizzato persino
il Sudafrica rendendolo per anni un posto sicuro per latitanti, come le
famiglie italiane sono riuscite a trasformare paesi dell’est in loro
colonie d’investimento e come dimostra l’ultimo dossier di Legambiente
le mafie italiane usano le sponde africane per intombare rifiuti
tossici (in una sola operazione in Costa D’Avorio, dall’Europa, furono
scaricati 851 tonnellate di rifiuti tossici).

E questo paese dice che gli immigrati portano criminalità? Le mafie
straniere in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle
italiane. Non esiste loro potere senza il consenso e la speculazione
dei gruppi italiani. Basta leggere le inchieste per capire come
arrivano i boss stranieri in Italia. Arrivano in aereo da Lagos o da
Leopoli. Dalla Nigeria, dall’Ucraina dalla Bielorussia. Gestiscono
flussi di danaro che spesso reinvestono negli sportelli Money Transfer.
Le inchieste più importanti come quella denominata Linus e fatta dai pm
Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di Napoli sulla mafia
nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non arrivano sui barconi ma
per aereo. Persino i disperati che per pagarsi un viaggio e avere
liquidità appena atterrano trasportano in pancia ovuli di coca. Anche
loro non arrivano sui barconi. Mai.

Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie. Loro vivono di
questa generalizzazione. Vogliono essere gli unici partner. Se tutti
gli immigrati diventano criminali, le bande criminali riusciranno a
sentirsi come i loro rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo
che non sia gestito da loro. La mafia ucraina monopolizza il mercato
delle badanti e degli operai edili, i nigeriani della prostituzione e
della distribuzione della coca, i bulgari dell’eroina, i furti di auto
di romeni e moldavi. Ma questi sono una parte minuscola delle loro
comunità e sono allevate dalla criminalità italiana. Nessuna di queste
organizzazioni vive senza il consenso e l’alleanza delle mafie
italiane.

Nessuna di queste organizzazioni vivrebbe una sola ora senza l’alleanza
con i gruppi italiani. Avere un atteggiamento di chiusura e
criminalizzazione aiuta le organizzazioni mafiose perché si costringe
ogni migrante a relazionarsi alle mafie se da loro soltanto dipendono i
documenti, le abitazioni, persino gli annunci sui giornali e
l’assistenza legale. E non si tratta di interpretare il ruolo delle
"anime belle", come direbbe qualcuno, ma di analizzare come le mafie
italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità migranti. Meno queste
vengono protette dallo Stato, più divengono a loro disposizione. Il
paese in cui è bello riconoscersi – insegna Altiero Spinelli padre del
pensiero europeo – è quello fatto di comportamenti non di monumenti. Io
so che quella parte d’Italia che si è in questi anni comportata capendo
e accogliendo, è quella parte che vede nei migranti nuove speranze e
nuove forze per cambiare ciò che qui non siamo riusciti a mutare.
L’Italia in cui è bello riconoscersi e che porta in se la memoria delle
persecuzioni dei propri migranti e non permetterà che questo riaccada
sulla propria terra.

Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency

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Figli dell’Ulivo, ingenui ed europei ecco la nuova leva dei Democratici

http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/partito-democratico-28/maltese-parole/maltese-parole.html

Laicità e merito i valori-guida. E stop al mito del dialogo: dalle interviste dell’inchiesta di "Repubblica" sui giovani del Pd, le 50 "parole chiave"Ricorrono i termini "Bisogna", "fare" e "politica", oltre che "destra" e Stato"

di CURZIO MALTESE

Le crisi storiche dei grandi partiti occidentali si sono quasi sempre
concluse con l’avvento di una nuova generazione di trentenni e
quarantenni. E’ successo al Labour inglese e ai socialisti spagnoli,
come ai loro avversari, poi ai democratici americani, oggi accade ai
socialdemocratici tedeschi e svedesi. Tutti partiti che si chiamano
così da oltre un secolo. Il centrosinistra italiano, dopo ogni
sconfitta, ha cambiato marchio e simboli, conservando linguaggio e
nomenklatura. Veltroni e D’Alema litigano da vent’anni e da quattro
partiti (Pci, Pds, Ds e Pd), ha scritto Ezio Mauro. Questa finzione gattopardesca è ormai intollerabile all’elettorato che
reclama il ricambio del gruppo dirigente nei sondaggi e nelle primarie.
A volte senza neppure conoscere i nuovi, soltanto per esclusione. Siamo
andati alla ricerca dei giovani democratici e abbiamo scoperto, per
cominciare, che esistono. Non è vero che dietro l’oligarchia c’è il
nulla. Al Nord, Centro e Sud s’incontrano donne e uomini di venti,
trenta o quarant’anni, animati di passione politica, con le loro
storie, professioni, idee. Da domani potrebbero prendere il posto dei
vecchi senza farli rimpiangere troppo. E forse per nulla. Migliori o peggiori dei Veltroni e D’Alema, Rutelli e Parisi, Bersani e
Letta, Bindi e Marini? Giudicheranno i cittadini. Di certo, diversi.
Più curiosi del futuro che del passato. Più simili ai cittadini che
dovrebbero votarli. Non è soltanto questione di età, piuttosto di
cultura e linguaggio. Mentre i vecchi leader litigavano sulle
rispettive appartenenze, è cresciuta una generazione per la quale le
categorie novecentesche hanno perso senso. A cominciare dalla questione
dominante del secolo scorso, il comunismo. Che per l’Italia continua a
essere un’ossessione. Ex e post comunisti, dialoganti con ex
democristiani, in lotta con anticomunisti, a loro volte spesso ex
comunisti, come se il muro non fosse mai caduto, in un delirio
passatista di revisionismo rancoroso.


Questi altri, i giovani, non sono ex di nulla. Hanno votato Ulivo già a
diciott’anni, sono cresciuti in una casa riformista comune, dove non è
difficile trovarsi d’accordo sui valori fondanti. Cattolici e non
cattolici, difensori della laicità dello stato. Moderati e radicali,
convinti che il conflitto d’interessi (di Berlusconi, di Pincopallo o
del governatore di una regione "rossa") sia un cancro della vita
pubblica nazionale. Milanesi o siciliani, fieri europeisti, con
esperienze di studio e lavoro all’estero, contatti quotidiani con
coetanei che fanno politica a Berlino o Parigi, Londra o Madrid. In una
specie di permanente Erasmus via Internet, dove ci si scambiano idee e
informazioni sui temi del qui e dell’oggi, l’ambiente, l’energia, la
crisi, i nuovi lavori, l’immigrazione. Assai più di quanto facciano con
i colleghi europei i nostri parlamentari in villeggiatura politica a
Strasburgo e Bruxelles, indipendentemente dal gruppo europeo al quale
sono iscritti. Hanno tutti vite che si possono raccontare oltre la sezione di un
partito, non sono figli di dirigenti e funzionari, considerano la
politica un impegno a termine, almeno per ora. E dalle esperienze di
vita quotidiana hanno maturato quello che forse è mancato in tutti
questi anni alle leadership di centrosinistra. Una visione della
società italiana nei fatti alternativa a quella della destra di
Berlusconi. Un’Italia più aperta e tollerante, ben disposta al merito e
alla creatività, assai più integrata nel resto d’Europa, meno anomala e
autarchica, familista e obbediente ai vescovi. Ma anche una sinistra
meno autarchica e difensiva. E’ una visione dove il coraggio si mescola
con l’ingenuità. Ma forse è di coraggio e ingenuità che la sinistra ha
bisogno. Nel suo primo anno di vita il Pd non si è concentrato sulla più grave
crisi economica dagli anni Trenta ma sull’annosa questione del dialogo
con Berlusconi. Dialogo sì, dialogo no, a prescindere, come stile
politico. Senza neppure capire che, visto il risultato elettorale,
Berlusconi non ha più bisogno di dialogo. Il temuto o sperato (da
Veltroni) pareggio elettorale non c’è stato. Al massimo il premier ha
oggi bisogno di un’opposizione che lo aiuti a far ingoiare all’opinione
pubblica irriducibilmente democratica un certo numero di leggi razziali
impensabili nel resto del continente, il regolamento di conti finale
con la magistratura e qualche raffica di nomine di basso livello alla
Rai o negli enti pubblici. Tutte operazioni alle quali procederà in
ogni caso, anche senza la benedizione degli avversari. A questo brutale
stravolgimento delle garanzie costituzionali, il centrosinistra ha
offerto in questi anni soltanto una resistenza trattabile e poco
convinta. Fino alla resa ideologica di contrapporre la ronda di
sinistra a quella di destra, la caccia al lavavetri democratica contro
quella leghista, il buon portatore di conflitto d’interessi (Soru)
contro il cattivo. In cambio della concessione da parte del sovrano di
qualche riserva indiana, di un piccolo statuto albertino in materia di
sindacato o televisioni, e ancor di più in cambio della sopravvivenza
del centrosinistra come ceto politico. Il tempo di questi giochi da
seconda repubblica è ora scaduto. I cittadini chiedono che la politica
non si occupi della propria sopravvivenza ma della loro, minacciata
dalla crisi.

 

 

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Fascistizzati

http://coen.blogautore.repubblica.it/2009/02/27/fascistizzati/

L’Oscar della Volgarità attribuito a nostro signore di Arcore, il
madonno delle libertà, dal “Petit journal” di Canal+, è qualcosa di più
di un’irriverente presa per i fondelli. Ci riguarda tutti. Tutti noi
italiani. Rappresentati da un abilissimo guitto della politica, in
qualche modo quel premio è spalmato sul nostro Paese, sui sempiterni
luoghi comuni che l’accompagnano. Ci svilisce. Ci identifica in quel
maleducato che – durante una conferenza stampa congiunta, mica al bar o
in una balera – allungando la mano tocca Sarkozy, lo interrompe, gli
dice una battutaccia (altrove gli avrebbero risposto con un cazzotto).
E’ plateale l’irritazione del presidente francese che pure non è
considerato quel che si dice un aristocratico. Ma quando è troppo è
troppo. Confesso tutto il mio disagio, e un profondo imbarazzo:
perchè in America hanno Obama e noi un personaggio di tal risma? Perchè
da noi “we can” funziona alla rovescia? Qualche giorno fa, sulle pagine di Repubblica, il costituzionalista
Franco Cordero l’aveva perfettamente descritto: “Sorriso artefatto,
logorrea, grammatica rudimentale, barzellette, efferate banalità,
maniere arrembanti, sfrontata disinvoltura”. Spacciatore d’oppio
televisivo, mentitore incallito, corruttore, falsificatore di bilanci,
“lui mesce volgarità aggressiva, ignoranza, falsa allegria, sonno
intellettuale, frenesia del successo”. E’ implacabile, il madonno delle libertà. Mentre combina sfracelli –
all’estero non gliene perdonano una e fanno bene: qui gran parte della stampa e le tv in ginocchio invece lo beatificano – continua a
fascistizzare il Paese, nell’indifferenza collettiva e con la  complicità dei suoi alleati, perchè in cambio del loro appoggio possono
abbuffarsi al banchetto del sottogoverno con spietata sistematicità. E
imitare i disinvolti metodi “politici” del lidèr maximo. Non abbiamo
ascoltato ieri il ministro Maroni dire alla radio e in tv, “no alle
ronde fai da te”, dopo anni di ronde incamiciate verdi che si agitavano
in lungo e in largo per la Padania? Per fortuna che c’è un po’ di giustizia, si fa per dire, anzi, sono
costretto dolorosamente a dirlo, da milanista che quest’anno festeggerà
50 anni di tifo dagli spalti: ieri sera, infatti, il Brema ha liquidato
il Milan dei superdivi sbattendolo fuori dalla Coppa Uefa. Un beffardo
pareggio a San Siro…Ora il Milan sarà costretto a lottare duramente per
mantenere il terzo posto in campionato. Immaginate il rodimento…ma sono
sicuro che tutta la colpa cadrà su Ancelotti, dirottando il malcontento
delle gradinate contro l’allenatore e non su chi gli ha imposto gran
parte della “rosa” dei giocatori. Pietà l’è morta. Fascistizzata
l’Italia. Fascistizzato quel residuo di cultura che c’era.
Fascistizzata la percezione del mondo: nessuno più si vergogna ad
essere ignorante, corrotto e volgare. Starei per dire, stanno per
fascistizzare anche il Milan. Parola di un rossonero comunque.

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Rompiamo il silenzio!

da www.libertaegiustizia.it

“Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell’umanità… La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti. Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme”.
Norberto Bobbio

Rompiamo il silenzio! Mai come ora è giustificato l’allarme. Assistiamo a segni inequivocabili di disfacimento sociale: perdita di senso civico, corruzione pubblica e privata, disprezzo della legalità e dell’uguaglianza, impunità per i forti e costrizione per i deboli, libertà come privilegi e non come diritti. Quando i legami sociali sono messi a rischio, non stupiscono le idee secessioniste, le pulsioni razziste e xenofobe, la volgarità, l’arroganza e la violenza nei rapporti tra gli individui e i gruppi. Preoccupa soprattutto l’accettazione passiva che penetra nella cultura. Una nuova incipiente legittimità è all’opera per avvilire quella costituzionale. Non sono difetti o deviazioni occasionali, ma segni premonitori su cui si cerca di stendere un velo di silenzio, un velo che forse un giorno sarà sollevato e mostrerà che cosa nasconde, ma sarà troppo tardi.

Non vedere è non voler vedere. Non conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che la democrazia è in bilico.

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Se mi togli quell’euro per il parcheggio

io con che la compro la benzina?

(nella foto, il fondatore del gruppo facebook "salviamoci il culo dalle fiamme – altro che pizzo")

 

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Basta un euro

Diminuisce il costo della benzina. Positive ripercussioni sulla società dei consumi (ma anche dell’integrazione).

 

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Lista delle priorità

Nel 1992 a Rio de Janeiro una bambina prendeva la parola.

Buonasera, sono Severn Suzuki e parlo a nome di ECO (Environmental Children Organization). Siamo un gruppo di ragazzini di 12 e 13 anni e cerchiamo di fare la nostra parte, Vanessa Suttie, Morgan Geisler, Michelle Quaigg e me. Abbiamo raccolto da noi tutti i soldi per venire in questo posto lontano 5000 miglia, per dire alle Nazioni Unite che devono cambiare il loro modo di agire. Venendo a parlare qui non ho un’agenda nascosta, sto lottando per il mio futuro. Perdere il mio futuro non è come perdere un’elezione o alcuni punti sul mercato azionario. Sono a qui a parlare a nome delle generazioni future. Sono qui a parlare a nome dei bambini che stanno morendo di fame in tutto il pianeta e le cui grida rimangono inascoltate. Sono qui a parlare per conto del numero infinito di animali che stanno morendo nel pianeta, perchè non hanno più alcun posto dove andare.
Ho paura di andare fuori al sole perché ci sono de buchi nell’ozono, ho paura di respirare l’aria perchè non so quali sostanze chimiche contiene. Ero solita andare a pescare a Vancouver, la mia città, con mio padre, ma solo alcuni anni
fa abbiamo trovato un pesce pieno di tumori. E ora sentiamo parlare di animali e piante che si estinguono, che ogni giorno svaniscono per sempre. Nella mia vita mia ho sognato di vedere grandi mandrie di animali selvatici e
giungle e foreste pluviali piene di uccelli e farfalle, ma ora mi chiedo se i miei figli potranno mai vedere tutto questo. Quando avevate la mia età, vi preoccupavate forse di queste cose? Tutto ciò sta accadendo sotto i nostri occhi e ciò nonostante continuiamo ad agire come se avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo e tutte le soluzioni. Io sono solo una bambina e non ho tutte le soluzioni, ma mi chedo se siete coscienti del fatto che non le
avete neppure voi. Non sapete come si fa a riparare i buchi nello strato di ozono, non sapete come riportare indietro i salmoni in un fiume inquinato, non sapete come si fa a far ritornare in vita una specie animale estinta, non potete far tornare le foreste che un tempo crescevano dove ora c’è un deserto. Se non sapete come fare a riparare tutto questo, per favore smettete di distruggerlo. Qui potete esser presenti in veste di delegati del vostro governo, uomini d’affari,
amministratori di organizzazioni, giornalisti o politici, ma in verità siete madri e padri, fratelli e sorelle, zie e zii e tutti voi siete anche figli. Sono solo una bambina, ma so che siamo tutti parte di una famiglia che conta 5 miliardi di persone, per la verità, una famiglia di 30 milioni di specie. E nessun governo, nessuna frontiera, potrà cambiare questa realtà. Sono solo una bambina ma so e dovremmo tenerci per mano e agire insieme come un solo mondo che ha un solo scopo. La mia rabbia non mi acceca e la mia paura non mi impedisce di dire al mondo ciò che sento.
Nel mio paese produciamo così tanti rifiuti, compriamo e buttiamo via, compriamo e buttiamo via, compriamo e buttiamo via, e tuttavia i paesi del nord non condividono con i bisognosi. Anche se abbiamo più del necessario, abbiamo paura di condividere, abbiamo paura di dare via un po’ della nostra ricchezza. In Canada, viviamo una vita privilegiata, siamo ricchi d’acqua, cibo, case abbiamo orologi, biciclette, computer e televisioni. La lista potrebbe andare avanti per due giorni. Due giorni fa, qui in Brasile siamo rimasti scioccati, mentre trascorrevamo un po di tempo con i bambini di strada. Questo è ciò che ci ha detto un bambino di strada: "Vorrei essere ricco, e se lo fossi vorrei dare ai bambini di strada cibo, vestiti, medicine, una casa, amore ed affetto". Se un bimbo di strada che non ha nulla è disponibile a condividere, perchè noi che abbiamo tutto siamo ancora così avidi? Non posso smettere di pensare che quelli sono bambini che hanno la mia stessa età e che nascere in un paese o in un altro fa ancora una così grande differenza; che potrei essere un bambino in una favela di Rio, o un bambino che muore di fame in Somalia, una vittima di guerra in medio-oriente o un mendicante in India. Sono solo una bambina ma so che se
tutto il denaro speso in guerre fosse destinato a cercare risposte ambientali, terminare la povertà e per siglare degli accordi, che mondo meraviglioso sarebbe questa terra! A scuola, persino all’asilo, ci insegnate come ci si comporta al
mondo. Ci insegnate a non litigare con gli altri, a risolvere i problemi, a rispettare gli altri, a rimettere a posto tutto il disordine che facciamo, a non ferire altre creature, a condividere le cose, a non essere avari. Allora perché
voi fate proprio quelle cose che ci dite di non fare? Non dimenticate il motivo di queste conferenze, perché le state facendo?Noi siamo i vostri figli, voi state decidendo in quale mondo noi dovremo crescere. I genitori dovrebbero poter consolare i loro figli dicendo: "Tutto andrà a posto. Non è la fine del mondo, stiamo facendo del nostro
meglio". Ma non credo che voi possiate dirci più queste cose. Siamo davvero nella lista delle vostre priorità? Mio padre dice sempre siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo. Ciò che voi state facendo mi fa piangere la notte. Voi continuate a dire che ci amate, ma io vi lancio una sfida: per favore, fate che le vostre azioni riflettano le vostre parole.

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